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Sezione speciale sul caso di Spinea

Da "La Stampa" del 5 giugno 1996.

Venezia, svolta nell'indagine sulla morte del diciannovenne: sarebbe stato aiutato ad impiccarsi.

I killer sono i giochi di ruolo

Il pm: dietro di loro una catena di suicidi.

DAL NOSTRO INVIATO
PIERAGELO SAPEGNO
Roberto morì per gioco. Come se la morte fosse coì vicina alla finzione o semplicemente una parte della vita, come l'amore, il dolore, la gioia, e non la separazione dalla vita. Roberto morì il pomeriggio dell'ultimo sabato di maggio, appeso all'albero di un boschetto dove andava a giocarci da bambino e quando suo padre lo trovò non riuscì ad avvicinarsi e non riuscì a gridare nemmeno una parola, e quando il suo preside, Silvano Grasso, lo seppe, chinò la testa: "Questi ragazzi hanno un male dentro che non capiamo". Suo fratello, Davide, rimase immobile e disse solo che "Roberto aveva un mondo da inseguire". Sua madre, Gianna, cominciò a piangere: "Era un solitario, scappava nella fantasia e si rifugiava in un mondo irreale". Le parole sono pietre, quando non si gioca.

Roberto aveva fatto il boy scout, andava a Messa e giocava a pallacanestro, che è un gioco senza finzione, prima di perdersi dietro al suo mondo. Roberto, suggeriscono adesso i primi sospetti, morì in un gioco che lui stesso aveva condotto e che aveva perso, uno di quei role playing americani, dove bisogna immedesimarsi fino in fondo nel personaggio. Forse, morì per essere più bravo anche nella sconfitta. Meglio di Harry Williams, della Benetton Treviso, che alza la mano e chiama cinque, anche se è stato battuto.

Roberto le sue poche cose le distribuì agli amici prima di andarsene, perché così stabiliscono le regole del gioco che faceva: chi perde lascia agli altri la roba, come un bottino da consegnare a quello che è stato più forte di te. E con lui, magari, quel pomeriggio c'erano gli amici, come se si potesse partecipare insieme alla stessa emozione, che ci separa da tutto o che chiude solamente un gioco. per loro, chissà, poteva essere la stessa cosa. Roberto aveva 19 anni, che è un'età per capire e per soffrire. "Non si è ucciso da solo", ha stabilito l'esame del suo corpo e ha detto ieri il sostituto procuratore Carlo Nordio. Vuol dire, semplicemente, che potrebbe essere stato aiutato. Il medico legale, dottor Ferlin, cerca di spiegarlo: "Nell'impiccato ci sono rotture. Le vertebre, o la carotide, o la cartilagine, si spezzano per via dello strappo. Qui non c'è niente. E' morto per soffocamento, senza rotture". Come se fosse stato sospinto, appunto, aiutato ad appendrsi all'albero. Ma se non si è ucciso da solo, forse c'è dell'altro.

Roberto, che inseguiva il mondo, morì in un gioco, che si chiama Killer e che finge di fare un film. "Per ora è solo un ipotesi", ripete Nordio. Intanto ha già aperto un fascicolo contro ignoti, "per istigazione al suicidio". E promette pure di indagare su altri casi di suicidio, avvenuti nell'ultimo anno, di giovani tra i 15 e i 25 anni, perché magari ce ne sono altri che hanno inseguito il gioco oltre il suo limite. Roberto partecipava ai role-playing games, assieme agli amici e al fratello più piccolo, Davide. Il più famoso è Magic. Il primo è Dungeons & Dragons. Il più trasgressivo è Killer, che ha un sottotitolo che dice così: " Non c'è nulla come il brivido che ti dà far fuori un amico". Negli Stati Uniti li hanno inventati nella seconda metà degli anni Sessanta e solo da poco tempo li hanno importati in Italia. Saranno 400, possono durar dei mesi, mettono il Bene contro il Male e non importa cosa sei tu, se fai la parte del cattivo o del buono. Come guardie e ladri, ma con qualcosa di più. Strano: come se la finzione valesse solo per il ruolo, non per il gioco. Roberto, con gli amici, faceva parte di un Club, l'Old Dragons, che riunisce un gruppo di ragazzi che si trova alla biblioteca di Spinea per fare questi giochi: "leggono Tolkien, Lovecraft, imparano l'inglese, stanno insieme, sviluppano creatività". E una stramba passione. Anche a scuola, durante la gita, i compagni della IV C del liceo scientifico Morin di Mestre si erano divertiti per tutto il viaggio con i role games per tutto il viaggio. Roberto era quello che aveva il compito di inventare la trama, e gli amici ripetono che "era il più bravo a immaginarsi nuove storie". Poi, Roberto aveva continuato a a fare Killer con quelli del club. E' morto per questo?

La mamma ha gli occhi gonfi e poca voglia di parlare: "Non ci credo, non ci credo. Conoscevo troppo bene i suoi amici. Venivano sempre a casa mia a giocare. Non può essere stato uno di loro. Se fosse vera questa ipotesi, che non è morto da solo, allora sono stati degli sconosciuti". Il PM, Carlo Nordio, per ora sfugge via. "Come si fa a dirlo? L'indagine è appena cominciata". Oggi però l'avvocato Luciano Faraon, da Spinea, Venezia, non è più solo. Subito dopo il suicidio di Roberto, era stato il primo a denunciare questo possibile legame, fra i giochi e quella morte. Disse: "Killer è il più terribile. Ha persino una carta che si chiama Distorcere la mente, e viene bandita dai tornei ufficiali".

Killer prende lo spunto dal film la Decima Vittima, una pellicola del 1965, interpretato da Marcello Mastroianni ed Ursula Andress. cominciarono a giocarlo un anno dopo gli studenti dell'Università di Austin, Texas. Ogni giocatore deve far fuori il suo rivale senza farsi ammazzare da un altro. Alcune regole sono fisse, le altre le decide il Game Master, il padrone del gioco. Il ruolo da impersonare per tutti è quello del killer. La finzione non termina quando la compagnia si scioglie, ma continua anche per mesi, sino alla fine della partita.

"E' come giocare guardie e ladri, come indiani e cowboy", dice Luca Giuliano, sociologo e inventore di giochi di ruolo. "Tutti i giochi prevedono un conflitto, altrimenti non c'è divertimento. Ma i metodi per uccidere l'avversario sono solo espedienti di fantasia e creatività. Questi giochi semmai insegnano a stare assieme, a comunicare, a uscire dall'isolamento." Chissà. Il gioco non è come la vita, dice Giuliano. Vero. E poi la finzione non è sempre inganno. Magari è tutto più semplice, magari ha ragione Gianna, la mamma di Roberto: "Faceva quei giochi, ma che ci fosse qualcosa di male, proprio no. Chissà cosa gli è passato per la testa, chissà cosa gli passa per la testa a questi giovani che non hanno niente, che non vedono niente davati a loro".

QUESTO E' IL REGOLAMENTO

Nati negli USA come evoluzione dei giochi di guerra e delle simulazioni militari, i giochi di ruolo hanno il loro precursore in "Dungeons & Dragons", messo in commercio nel 1974. Da allora le versioni di sono moltiplicate, dalle più famose come "Magic" alla più trasgressiva come "Killer". Gli scenari variano dall'immaginario medievale alla fantascienza, dall'horror ai programmi TV. Tutti si fondano su rapporti di tipo antagonistico tra i personaggi in gioco, su regole dettate da un game master e sull'identificazione di ciascun giocatore in un ruolo che può anche protrarsi per mesi, fino alla fine della partita


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